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[...] A partire da questi anni, sul finire cioè del 1983, la ricerca dell'artista salernitano sembra prendere due strade la prima, in parte attraversata e quasi del tutto esauritasi in quei lavori dal dichiarato richiamo ad un immaginario "neo-barocco". Una serie di tele bianche lasciate invadere da fluidissimi segni neri, da corpi racchiusi in volute, in un continuo rimando di intrecci, di figure nate da memorie di giochi figurali dei soffitti tardo seicenteschi. Una schiera di nudi dagli incarnati sbiaditi, come dipinti con polveri di rosse ciprie, di lacche di garanzie (appena accennate), di grigi sfumati. L'altra, e forse più fruttuosa linea di ricerca, va nella stessa direzione, essa avvicina di molto il soggetto e recupera una dose di concretezza dell'immagine, affidandola al frammento, al particolare. L'occhio capzioso dell'artista recupera così la posizione di primissimo piano, nella abusata accezione cinematografica: entra cioè, come fece nei gomitoli, nel gioco ravvicinato proposto da linee di corpi, di profili di colori, prelevando piccole parti, inserendole in uno spazio dai toni che, per minime affinità, fanno pensare ad alcune esperienze dell'arte concreta, in modo specifico alla fertile stagione napoletana ed in primo luogo all'opera di Barisani. Con l'attenzione critica che da sempre lo contraddistingue, Vitaliano Corbi parlando proprio di questi lavori, nella presentazione al catalogo della personale organizzata nel 1986 negli Antichi Arsenali di Amalfi, faceva osservare: "In tal senso gli ultimi elegantissimi nudi si connettono alla serie delle Macroscopie di filamenti e sono anche essi macroscopie. Il quadro, così strutturato intorno a percorsi lineari aperti nelle due opposte direzioni, sembra non voler più contenere una rappresentazione esaustiva dello spazio". Lo spazio diviene una proposizione emotiva; lacerto di un affresco "interiore", segnato nelle giornate, negli attimi, nei misteriosi labirinti della sensualità. |
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Massimo Bignardi |
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